di Gregory David Roberts (Neri Pozza)
Che romanzo questo di Gregory David Roberts! Così denso di accadimenti, di personaggi, di colori, di cultura, di luoghi, di profumi e sapori; così esagerato quasi da sembrare in qualche punto poco plausibile, come se l’autore si fosse fatto prendere la mano dall’iperbole dell’invenzione.
A tal proposito mi sovviene un episodio in cui fui dissuasa da un sedicente editor, in quanto scrittrice, dal raccontare nei miei romanzi episodi del mio vissuto perché talmente assurdi da sembrare finzione.
Per fortuna Roberts non si è posto limiti nel narrare la sua vita da tossicodipendente e rapinatore, ricercato per evasione da un carcere di massima sicurezza e sbarcato a Bombay. Non ci avrebbe raccontato dei rapporti con la malavita locale, delle terribili vendette nelle quali è incorso, del carcere indiano in cui viene imprigionato per quattro mesi – un inferno in terra in cui subisce vessazioni e maltrattamenti di ogni sorta -, e sopratutto non ci avrebbe descritto il disagio provato nel sentirsi emarginato tra gli emarginati degli Slum – le baraccopoli indiane -, né di come un luogo di diseredati si sia svelato in tutta quella bellezza che risiede in valori quali amicizia, fratellanza e solidarietà. Valori che fortificano, che generano resilienza, e in cui ogni forma di degrado e di desolazione trovano finalmente salvezza e redenzione nell’Amore.
Buona lettura a tutti!
LA CITAZIONE:
“È il perdono che ci rende unici. Senza perdono la nostra specie si sarebbe distrutta in una serie di faide senza fine. Senza perdono non esisterebbe la storia. Senza la speranza del perdono non ci sarebbe l’arte, perché l’arte è in qualche modo un gesto di perdono. Senza il sogno di un perdono non ci sarebbe amore, perché ogni atto d’amore è in qualche modo una promessa di perdono. Viviamo perché possiamo amare, e amiamo perché sappiamo perdonare.”
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